“Si cerca di far presto per aver
tempo che avanza”
Così canta Jovanotti nella sua
canzone. Ci affaccendiamo per concludere i nostri obblighi e del tempo che ne
ricaviamo otteniamo un avanzo. Come è un avanzo il fondo del piatto, che non ci
sta più nello stomaco dopo che ci siamo abbuffati. Avanzo, che non dà più
gusto, che non è più desiderato, appetibile. E per questo resto, per questo di
più che perde di senso, ci affrettiamo, acceleriamo i ritmi, condensiamo
impegni. Buttiamo tutto dentro. Dolce e salato insieme, e quando arriva la
portata principale non siamo in grado di gustarla. Siamo pieni. Eppure
lavoriamo per poter dare agio alla nostra famiglia, per godere insieme dei
frutti degli sforzi. Ci sembra di fare tutto in funzione di quel tempo libero
che finalmente dice di noi, del nostro essere autentici, felici, in compagnia
delle persone care.
Ma non sappiamo cosa fare. Del
tempo che avanza non sappiamo che farcene. Allora diamo un occhio al cellulare -
è proprio vero che non mi ha chiamato nessuno?; controlliamo la posta - sia mai
che ci dimentichiamo qualcosa di urgente, dato che è insolito, dunque sospetto,
aver concluso tutto così presto!
Nessuno ha bisogno di me? Nessuno
mi dice cosa fare, subito? È stato teorizzato che il bisogno di rispondere all’urgenza
può essere considerato al pari delle altre dipendenze. L’adrenalina della
fretta, la quota di rischio di non farcela e la gratificazione nel riuscire
sono elementi che fanno provare piacere e che spingono a volerne ancora. Chi ha
vissuto almeno una volta una giornata frenetica non potrà negare di essersi
sentito indispensabile all’umanità, elemento fondamentale per il mantenimento
dell’equilibrio del sistema mondo e dunque uomo di valore. Arrivati a sera la
stanchezza è assicurata quanto la serotonina in circolo. Siamo disposti a
rinunciarci? Perché o per cosa dovremmo rinunciarci? Per una vita tranquilla?
Quanti di noi trovano attraente una vita tranquilla? Certo non chi si aggrega
al coro di vita spericolata di Vasco. Nell’immaginario comune vita tranquilla non
indica forse più una vita che ha un tempo per ogni cosa, quanto una vita vuota.
Mi viene allora il sospetto che l’indolenza giovanile
su cui i sociologi oggigiorno si soffermano tanto volentieri, quel senso di insignificanza
della vita, della mancanza di scopi e di passioni delle ultime generazioni sia
soltanto l’altra faccia della medaglia di una generazione adulta che farnetica
frenetica. Frenetica perché pone al centro urgenza dopo urgenza, farnetica
perché testimonia il falso ponendo al centro ciò che è urgente invece che
importante. Se il tempo che avanza non diventa tempo di senso, non potrà che
essere impregnato di noia. Noia che fa emergere una mancanza, un di più a cui
siamo tesi al di là dei ruoli e delle cariche. Ruoli che troppo spesso tappano
il buco di una mancata identità.
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