mercoledì 23 ottobre 2013

DIPENDENTI DALL'URGENZA

“Si cerca di far presto per aver tempo che avanza”

Così canta Jovanotti nella sua canzone. Ci affaccendiamo per concludere i nostri obblighi e del tempo che ne ricaviamo otteniamo un avanzo. Come è un avanzo il fondo del piatto, che non ci sta più nello stomaco dopo che ci siamo abbuffati. Avanzo, che non dà più gusto, che non è più desiderato, appetibile. E per questo resto, per questo di più che perde di senso, ci affrettiamo, acceleriamo i ritmi, condensiamo impegni. Buttiamo tutto dentro. Dolce e salato insieme, e quando arriva la portata principale non siamo in grado di gustarla. Siamo pieni. Eppure lavoriamo per poter dare agio alla nostra famiglia, per godere insieme dei frutti degli sforzi. Ci sembra di fare tutto in funzione di quel tempo libero che finalmente dice di noi, del nostro essere autentici, felici, in compagnia delle persone care.

Ma non sappiamo cosa fare. Del tempo che avanza non sappiamo che farcene. Allora diamo un occhio al cellulare - è proprio vero che non mi ha chiamato nessuno?; controlliamo la posta - sia mai che ci dimentichiamo qualcosa di urgente, dato che è insolito, dunque sospetto, aver concluso tutto così presto!

Nessuno ha bisogno di me? Nessuno mi dice cosa fare, subito? È stato teorizzato che il bisogno di rispondere all’urgenza può essere considerato al pari delle altre dipendenze. L’adrenalina della fretta, la quota di rischio di non farcela e la gratificazione nel riuscire sono elementi che fanno provare piacere e che spingono a volerne ancora. Chi ha vissuto almeno una volta una giornata frenetica non potrà negare di essersi sentito indispensabile all’umanità, elemento fondamentale per il mantenimento dell’equilibrio del sistema mondo e dunque uomo di valore. Arrivati a sera la stanchezza è assicurata quanto la serotonina in circolo. Siamo disposti a rinunciarci? Perché o per cosa dovremmo rinunciarci? Per una vita tranquilla? Quanti di noi trovano attraente una vita tranquilla? Certo non chi si aggrega al coro di vita spericolata di Vasco. Nell’immaginario comune vita tranquilla non indica forse più una vita che ha un tempo per ogni cosa, quanto una vita vuota.

Mi viene allora il sospetto che l’indolenza giovanile su cui i sociologi oggigiorno si soffermano tanto volentieri, quel senso di insignificanza della vita, della mancanza di scopi e di passioni delle ultime generazioni sia soltanto l’altra faccia della medaglia di una generazione adulta che farnetica frenetica. Frenetica perché pone al centro urgenza dopo urgenza, farnetica perché testimonia il falso ponendo al centro ciò che è urgente invece che importante. Se il tempo che avanza non diventa tempo di senso, non potrà che essere impregnato di noia. Noia che fa emergere una mancanza, un di più a cui siamo tesi al di là dei ruoli e delle cariche. Ruoli che troppo spesso tappano il buco di una mancata identità.



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