“L’obbligo della frequenza
scolastica è un impedimento al diritto di apprendere”.
Io amo Ivan Illich. Non si può non riconoscere che le sue
affermazioni siano tutt’altro che provocatorie quanto rivelatrici. Troppo
facile definirlo rivoluzionario o sovversivo e accantonare il suo pensiero come
originale, fantasioso, fantastico. Più difficile è prenderlo sul serio e
lasciarsi interrogare dalla sua capacità di visione, che lo fa essere un
vedente tra i ciechi, che siamo noi.
Il tema dell’istruzione ci
coinvolge tutti personalmente. Non solo tutti ne abbiamo avuto esperienza ma
essa è diventata valore universale da tutelare e promuovere. Chi di noi non ha
qualcosa da dire circa la scuola e il suo funzionamento? Riconosciamo questo
fermento che riguarda l’istruzione? Da
una parte c’è la tensione a voler perfezionare il servizio scolastico e ad
aumentare la fruibilità di scuole e università in nome di un diritto allo
studio, dall’altro il valore dello studio non viene riconosciuto se non viene
attuato attraverso percorsi istituzionali. Il sospetto è che l’istruzione
così fornita, e solo così avvalorata ed apprezzata, non sia un valore morale
quanto una merce.
Se acuiamo la vista notiamo che la società globale, dal nord al sud del
mondo, richiede una maturità fabbricata in serie: il valore dell’istruzione di
un uomo è determinato dal numero di anni di scuola e dal costo delle scuole
frequentate. Questo non solo produce un mercato che in quanto tale ha come
obiettivo il guadagno economico invece che la promozione dell’apprendimento ma,
in quanto mercato, esso è in se stesso insostenibile. La domanda sarà sempre al
di sopra delle possibilità di offerta della Società. Questa svalutazione dell’attività autonoma
produce un bisogno, il bisogno di istruzione istituzionale, e il bisogno di
istruzione genera il diritto all’istruzione. E non c’è diritto per il cittadino
che non sia
dovere per lo Stato. Lo Stato ha il dovere di rispondere al bisogno di tutti i cittadini ad avere l’istruzione che chiedono. Ma lo Stato non potrà mai fornire borse di studio, sussidi scolastici, insegnanti e quant’altro a tutti coloro che ne hanno bisogno.
dovere per lo Stato. Lo Stato ha il dovere di rispondere al bisogno di tutti i cittadini ad avere l’istruzione che chiedono. Ma lo Stato non potrà mai fornire borse di studio, sussidi scolastici, insegnanti e quant’altro a tutti coloro che ne hanno bisogno.
Così la civiltà del progresso propone modelli inattuabili e genera
innumerevoli frustrati. Se si ammette che è diritto di tutti lo studio,
tanto da rendere obbligatorio un percorso scolastico, coloro che per motivi
diversi non possono accedervi non solo restano privati di ciò che è considerato
un diritto, ma la loro stessa condizione di svantaggiati arreca scandalo alla
società (che si percepisce fallita nei suoi intenti) e genera mortificazione in
quelle persone che, tagliate fuori dal sistema, si percepiscono fonte di
scandalo. Quanto più si insiste sul diritto per tutti a una istruzione quanto
più ci si scandalizza per quei casi di mancata istruzione, quanto più si
umiliano questi casi.
“C’è la convinzione diffusa che
il comportamento acquisito sotto gli occhi di un pedagogo abbia un valore
speciale per l’allievo e costituisca uno speciale vantaggio per la società” e
così “la scuola, facendo abdicare gli uomini alla responsabilità del proprio
sviluppo, ne conduce molti a una sorta di suicidio spirituale.” Ecco dove
andiamo incontro potenziando un modello paternalistico. Se cerchiamo il
consenso e l’approvazione del Padre, nelle
veci dell’istituzione, per avere
conferma del valore del nostro sapere non diventeremo mai donne e uomini capaci
di migliorare la società. Come è possibile migliorare ciò che ci è stato
consegnato se se veniamo plasmati culturalmente da quella stessa struttura che
vogliamo cambiare?
Spersonalizzare la responsabilità
dell’educazione affidandola ad un ente, non solo produce il suicidio
spirituale-intellettuale di massa- in quanto ogni apprendimento ha valore se è
scelto personalmente in base agli interessi di ciascuno, ma disincentiva autentici rapporti umani.
Non siamo più liberi di scegliere i nostri maestri, di avvicinarci a coloro che
riconosciamo detentori di un sapere per divenirne discepoli, e non siamo più
consapevoli del nostro specifico sapere che a nostra volta può essere
disposizione di chi voglia riceverlo.
Sono convinta che una società che
richieda meno “bollini” e più sapere non possa che fiorire. Potremmo finalmente mostrare il nostro valore, e non, come dice
Illich, essere costretti ad esibire il nostro pedigree scolastico. Nella libertà e nell’autonomia sarebbe favorita una reale
uguaglianza sociale.
Le riflessioni potrebbero
moltiplicarsi. Voglio solo ringraziare
questo meraviglioso pensatore per averci dato la possibilità di guardare alla
realtà con speranza offrendoci con entusiasmo nuove prospettive per democrazie
felici.
“ E poiché una vita ricca di godimento è una
vita di rapporti costantemente significativi con gli altri in un ambiente
significativo, l’eguaglianza di godimento non può che tradursi in eguaglianza
di educazione”.