Un mese fa moriva Nelson Mandela. Tante parole sono già state dette per ricordare
questo uomo che senza dubbio ha segnato la storia del Sudafrica e non solo. Non
voglio aggiungerne altre, ma mi è sembrato alquanto strano che tra tutte le
parole che io ho sentito nessuna abbia fatto riferimento a quello che, dal mio
punto di vista, è stato forse uno degli eventi più esemplari realizzati da Mandela
e non solo.
Tutti sanno che Mandela è stato il primo
presidente nero eletto democraticamente nel 1994 dopo quasi cinquant’anni di apartheid; che prima di poter essere
eletto rimase in prigione per ventisette anni; che fu grazie a lui che il
Sudafrica tornò ad essere un paese democratico e libero… Ma forse non tutti
sanno quale strumento è stato utilizzato per permettere al Sudafrica di
diventare quella nazione arcobaleno in cui una convivenza pacifica tra neri e
bianchi fosse realmente e realisticamente possibile.
Come fare a ricostruire una nazione che fino
al giorno precedente si nutriva di odi razziali e si fondava sulla segregazione
e sullo scontro tra neri e bianchi? Come fare a gestire un passato intriso di
sangue, di violenze, di morti, di diritti calpestati, di trasferimenti forzati,
di scomparse misteriose? Come far
ripartire una convivenza pacifica all’interno di una nazione divisa e dilaniata
dall’odio?
Tutte queste risposte si trovano nel libro Non c’è futuro senza perdono[1]
di Desmond Tutu, arcivescovo di
Città del Capo, che aiutò il neo-presidente Mandela in quest’opera di
ricostruzione.
Per fare i conti con il passato obbrobrioso
che pesava sui cittadini sudafricani venne istituita la Truth and Reconciliation Commission,
la Commissione per la Verità e la Riconciliazione. La filosofia che stava
dietro questa commissione si fondava sul concetto di ubuntu, parola intraducibile nella nostra lingua che esprime il
fatto che ciascun uomo è inserito in una rete di relazioni tale per cui la
propria umanità è indissociabile dall’umanità dell’altro; quindi una
diminuzione di umanità da parte di una persona all’interno della rete provoca
una diminuzione di umanità nella rete stessa. In base a questo principio si
scelse allora di percorrere una strada completamente diversa rispetto a quella
punitiva tenuta nel processo di Norimberga, in cui le potenze vincitrici della
Seconda Guerra Mondiale giudicarono i gerarchi nazisti; o a quella della
rimozione e dell’oblio del passato. Il modello adottato dal Sudafrica fu quello
che Tutu definisce “un compromesso tra il modello rappresentato dai processi di
Norimberga e un’amnistia generale basata sulla rimozione della coscienza”.
L’idea fondamentale fu allora quella di concedere l’amnistia in cambio della
confessione completa dei crimini per cui veniva richiesta. Il perdono in cambio della verità.
Venne così offerta alla popolazione
sudafricana la possibilità di far emergere la verità, di raccontare ciò che era
accaduto in quegli anni terribili di divisioni e di violenze. Venne data ai
carnefici la possibilità di chiedere perdono di fronte alla nazione dei reati
di cui si erano macchiati, e alle vittime di raccontare ciò che avevano subito
e chiedere per questo una riparazione che aveva il valore simbolico di
ripristinare la loro dignità umana e civile calpestata per lunghi anni.
La Commissione per la Verità e la
Riconciliazione ha potuto toccare con mano gli abissi di depravazione e di male
a cui l’uomo può giungere, ma al tempo stesso ha potuto verificare anche la
grande disponibilità al perdono che alcune vittime avevano conservato,
sperimentando così non solo la “banalità
del male” ma anche la “banalità del
bene”, che passa attraverso la gente comune. Questa testimonianza è stata
fondamentale per il Sudafrica ed è ciò che ha permesso al popolo sudafricano di
prendere in mano le redini del suo futuro e dare a se stesso la possibilità di
ricominciare e di pensare ad una convivenza pacifica tra bianchi e neri.
La grande verità che la Commissione ha così
visto rivelarsi sotto i suoi occhi è che l’uomo, se vuole, è capace di bene;
c’è sicuramente una disponibilità a compiere il male, ma nonostante questo in
Sudafrica si è riusciti a spezzare la spirale del negativo e a ripristinare una
circolarità virtuosa che ha traghettato il paese fuori dalle spire dell’apartheid.
Giulia ho letto il tuo post. Interessante. Tuttavia, ritengo, solo Cristo può perdonare. All'uomo non è data questa facoltà. L'uomo non può perdonare, tuttalpiù può prendere atto di quanto è accaduto. Tutto ciò che accade è accaduto. Non si puo' tornare indietro. Il perdono è un atto troppo definito e risolutivo. Suona come un condono. Fa parte di un mondo perfetto e non è certamente il nostro. Solo Dio è perfetto. Non si può perdonare una persona per quello che ha fatto. Se ne deve prendere atto e se si vuole cambiare il passato si deve possedere quella virtù chiamata speranza che ti mette in rapporto fiducioso con il mondo.
RispondiEliminaIl nostro unico modo di perdonare è possedere quell'intuizione e rivelazione che si chiama speranza. Speranza significa guardare sempre al futuro con la consapevolezza di essere sulla strada giusta.
Speranza non inteso come SPERIAMO BENE che è solo un banale tentativo di allontanare il nostro pessimismo.
Non è forse vero che alla fine è quello che facciamo prima che ha valore?
AR
La filosofa Hanna Arendt, a me molto cara, sostiene che il perdono permette di non far coincidere la persona che ha sbagliato con il suo errore. Perché la persona non è solo il suo errore, è un di più. Per non condannare l'io alla totale identità e coincidenza con la propria azione interviene il perdono, che dice: "ok, sono disposto a darti una seconda possibilità". Ciò che viene perdonato allora non è l'azione in sé, che rimane malvagia, ma la persona, alla quale viene data una specie di seconda chance.
RispondiEliminaMi rendo conto che è una cosa abbastanza difficile da realizzare, anche perché penso che il perdono sia l'atto di maggior gratuità che possa esistere, ma letto in questi termini può diventare un atto anche molto umano, oltre che divino.
Sono comunque d'accordo che tutte queste riflessioni siano più facili a dirsi che a farsi, ma questo post voleva proprio portare un esempio "sano" di come dai conflitti si possa uscire senza per forza continuare a covare odi e rancori reciproci, pur con tutta la fatica che questo processo avrà sicuramente richiesto.
Ok ci può stare. Ma ridotto ad una dimensione più spiccia il ok ti do un'altra possibilità genera un problema di non poco conto. Se il soggetto perdonato ricadesse nell'errore? Se il perdono scinde l'azione dall'essere allora il soggetto si rivela un soggetto non degno di perdono. Pensiamo anche ad un'altra circostanza. Pensiamo ad un soggetto che è stato perdonato e alla fine dei nostri giorni veniamo a sapere che dopo il perdono era ricaduto nell'errore. Pensa quanta delusione saper di esser stati vicino ad una persona che ha tradito la tua fiducia! Ha tradito il tuo perdono!
RispondiEliminaSecondo me ci stiamo muovendo su piani di discorso differenti e questo rende un po' difficile il riuscire a comunicare e capirsi. La possibilità del perdono, secondo l'argomentazione che porto, è data solo se ciò che la persona fa non coincide completamente con quello che la persona è. Le implicazioni che questo comporta sono molteplici e sicuramente inevitabili. E' la vita. Io non sto dicendo che è facile, semplice, automatico, privo di ricaschi o delusioni. Ovviamente c'è tutto l'aspetto emotivo che ha il suo peso, il suo coinvolgimento. Ecco, penso che tu ti stia muovendo più su questo piano, io invece mi sto tenendo su un piano più "astratto/teoretico", diciamo così!
RispondiEliminaragazze non ho mai usato google + spero di essremi iscritta anche se non mi vedo!! =P
RispondiElimina2 bacioni buona serata vale
noi ti vediamo! continua a seguirci:)
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