domenica 5 gennaio 2014

Non c'è futuro senza perdono


Un mese fa moriva Nelson Mandela. Tante parole sono già state dette per ricordare questo uomo che senza dubbio ha segnato la storia del Sudafrica e non solo. Non voglio aggiungerne altre, ma mi è sembrato alquanto strano che tra tutte le parole che io ho sentito nessuna abbia fatto riferimento a quello che, dal mio punto di vista, è stato forse uno degli eventi più esemplari realizzati da Mandela e non solo.
Tutti sanno che Mandela è stato il primo presidente nero eletto democraticamente nel 1994 dopo quasi cinquant’anni di apartheid; che prima di poter essere eletto rimase in prigione per ventisette anni; che fu grazie a lui che il Sudafrica tornò ad essere un paese democratico e libero… Ma forse non tutti sanno quale strumento è stato utilizzato per permettere al Sudafrica di diventare quella nazione arcobaleno in cui una convivenza pacifica tra neri e bianchi fosse realmente e realisticamente possibile.

Come fare a ricostruire una nazione che fino al giorno precedente si nutriva di odi razziali e si fondava sulla segregazione e sullo scontro tra neri e bianchi? Come fare a gestire un passato intriso di sangue, di violenze, di morti, di diritti calpestati, di trasferimenti forzati, di scomparse misteriose? Come far ripartire una convivenza pacifica all’interno di una nazione divisa e dilaniata dall’odio?
Tutte queste risposte si trovano nel libro Non c’è futuro senza perdono[1] di Desmond Tutu, arcivescovo di Città del Capo, che aiutò il neo-presidente Mandela in quest’opera di ricostruzione.

Per fare i conti con il passato obbrobrioso che pesava sui cittadini sudafricani venne istituita la Truth and Reconciliation Commission, la Commissione per la Verità e la Riconciliazione. La filosofia che stava dietro questa commissione si fondava sul concetto di ubuntu, parola intraducibile nella nostra lingua che esprime il fatto che ciascun uomo è inserito in una rete di relazioni tale per cui la propria umanità è indissociabile dall’umanità dell’altro; quindi una diminuzione di umanità da parte di una persona all’interno della rete provoca una diminuzione di umanità nella rete stessa. In base a questo principio si scelse allora di percorrere una strada completamente diversa rispetto a quella punitiva tenuta nel processo di Norimberga, in cui le potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale giudicarono i gerarchi nazisti; o a quella della rimozione e dell’oblio del passato. Il modello adottato dal Sudafrica fu quello che Tutu definisce “un compromesso tra il modello rappresentato dai processi di Norimberga e un’amnistia generale basata sulla rimozione della coscienza”. L’idea fondamentale fu allora quella di concedere l’amnistia in cambio della confessione completa dei crimini per cui veniva richiesta. Il perdono in cambio della verità.

Venne così offerta alla popolazione sudafricana la possibilità di far emergere la verità, di raccontare ciò che era accaduto in quegli anni terribili di divisioni e di violenze. Venne data ai carnefici la possibilità di chiedere perdono di fronte alla nazione dei reati di cui si erano macchiati, e alle vittime di raccontare ciò che avevano subito e chiedere per questo una riparazione che aveva il valore simbolico di ripristinare la loro dignità umana e civile calpestata per lunghi anni.

La Commissione per la Verità e la Riconciliazione ha potuto toccare con mano gli abissi di depravazione e di male a cui l’uomo può giungere, ma al tempo stesso ha potuto verificare anche la grande disponibilità al perdono che alcune vittime avevano conservato, sperimentando così non solo la “banalità del male” ma anche la “banalità del bene”, che passa attraverso la gente comune. Questa testimonianza è stata fondamentale per il Sudafrica ed è ciò che ha permesso al popolo sudafricano di prendere in mano le redini del suo futuro e dare a se stesso la possibilità di ricominciare e di pensare ad una convivenza pacifica tra bianchi e neri.

La grande verità che la Commissione ha così visto rivelarsi sotto i suoi occhi è che l’uomo, se vuole, è capace di bene; c’è sicuramente una disponibilità a compiere il male, ma nonostante questo in Sudafrica si è riusciti a spezzare la spirale del negativo e a ripristinare una circolarità virtuosa che ha traghettato il paese fuori dalle spire dell’apartheid.


[1] D. Tutu, Non c’è futuro senza perdono, Feltrinelli, Milano 2001. 

6 commenti:

  1. Giulia ho letto il tuo post. Interessante. Tuttavia, ritengo, solo Cristo può perdonare. All'uomo non è data questa facoltà. L'uomo non può perdonare, tuttalpiù può prendere atto di quanto è accaduto. Tutto ciò che accade è accaduto. Non si puo' tornare indietro. Il perdono è un atto troppo definito e risolutivo. Suona come un condono. Fa parte di un mondo perfetto e non è certamente il nostro. Solo Dio è perfetto. Non si può perdonare una persona per quello che ha fatto. Se ne deve prendere atto e se si vuole cambiare il passato si deve possedere quella virtù chiamata speranza che ti mette in rapporto fiducioso con il mondo.
    Il nostro unico modo di perdonare è possedere quell'intuizione e rivelazione che si chiama speranza. Speranza significa guardare sempre al futuro con la consapevolezza di essere sulla strada giusta.
    Speranza non inteso come SPERIAMO BENE che è solo un banale tentativo di allontanare il nostro pessimismo.
    Non è forse vero che alla fine è quello che facciamo prima che ha valore?
    AR

    RispondiElimina
  2. La filosofa Hanna Arendt, a me molto cara, sostiene che il perdono permette di non far coincidere la persona che ha sbagliato con il suo errore. Perché la persona non è solo il suo errore, è un di più. Per non condannare l'io alla totale identità e coincidenza con la propria azione interviene il perdono, che dice: "ok, sono disposto a darti una seconda possibilità". Ciò che viene perdonato allora non è l'azione in sé, che rimane malvagia, ma la persona, alla quale viene data una specie di seconda chance.
    Mi rendo conto che è una cosa abbastanza difficile da realizzare, anche perché penso che il perdono sia l'atto di maggior gratuità che possa esistere, ma letto in questi termini può diventare un atto anche molto umano, oltre che divino.
    Sono comunque d'accordo che tutte queste riflessioni siano più facili a dirsi che a farsi, ma questo post voleva proprio portare un esempio "sano" di come dai conflitti si possa uscire senza per forza continuare a covare odi e rancori reciproci, pur con tutta la fatica che questo processo avrà sicuramente richiesto.

    RispondiElimina
  3. Ok ci può stare. Ma ridotto ad una dimensione più spiccia il ok ti do un'altra possibilità genera un problema di non poco conto. Se il soggetto perdonato ricadesse nell'errore? Se il perdono scinde l'azione dall'essere allora il soggetto si rivela un soggetto non degno di perdono. Pensiamo anche ad un'altra circostanza. Pensiamo ad un soggetto che è stato perdonato e alla fine dei nostri giorni veniamo a sapere che dopo il perdono era ricaduto nell'errore. Pensa quanta delusione saper di esser stati vicino ad una persona che ha tradito la tua fiducia! Ha tradito il tuo perdono!

    RispondiElimina
  4. Secondo me ci stiamo muovendo su piani di discorso differenti e questo rende un po' difficile il riuscire a comunicare e capirsi. La possibilità del perdono, secondo l'argomentazione che porto, è data solo se ciò che la persona fa non coincide completamente con quello che la persona è. Le implicazioni che questo comporta sono molteplici e sicuramente inevitabili. E' la vita. Io non sto dicendo che è facile, semplice, automatico, privo di ricaschi o delusioni. Ovviamente c'è tutto l'aspetto emotivo che ha il suo peso, il suo coinvolgimento. Ecco, penso che tu ti stia muovendo più su questo piano, io invece mi sto tenendo su un piano più "astratto/teoretico", diciamo così!

    RispondiElimina
  5. ragazze non ho mai usato google + spero di essremi iscritta anche se non mi vedo!! =P
    2 bacioni buona serata vale

    RispondiElimina