sabato 4 gennaio 2014

FILOSOFIA E SCIENZA - RIFLESSIONE ITINERANTE

Poco tempo fa mi trovavo in pulmino con alcuni amici di ritorno da una giornata a Firenze. Chiacchierando chiacchierando per occupare il viaggio, ci siamo imbattuti in un discorso che mi ha sorpreso abbia tanto appassionato tutti noi. E’ stata la prima volta che così a lungo e approfonditamente ho confrontato la visione scientifica con quella filosofica in un discorso che coinvolgesse ingegneri, biologi, informatici e non solo filosofi  che, si direbbe, se la cantano e se la suonano tra loro.  Non è stato questo filosofare? Tornata a casa ho ripreso le mie letture e mi sono resa conto che quell’incontro itinerante mi aveva fornito gli strumenti per comprendere meglio ciò che stavo leggendo. A sua volta il caro Karl Jaspers[1], riletto con nuovi occhi, mi offre ora la possibilità di rispondere, o meglio di tematizzare con più cura, quei nodi emersi. Coloro che, come i viaggiatori del pulmino, nelle loro giornate si occupano di misurare, calcolare, osservare, possono forse trovare qui qualche s-punto di domanda.

Se parliamo di pensiero scientifico siamo sicuri di intenderci, ci riferiamo a conoscenze esatte, a sapere oggettivo, raggiunto con rigore metodico. Ciò che è scientifico è reale: così è. Se invece parliamo di pensiero filosofico ci accostiamo ad una molteplicità di definizioni e supposizioni: il pensiero filosofico è quello che indaga il senso della vita, oppure è un ragionamento astratto e non incisivo sulla realtà e la società, per altri è fantasticheria oppure esercizio di erudizione o ancora mentalità alternativa per tipi originali: il classico “prendila con filosofia!”.  Cominciamo con il dire che la filosofia ha il compito di cogliere la realtà nella sua dimensione originaria. Questa potrebbe sembrare una ambizione esagerata e un obiettivo inarrivabile. Eppure l’intento, sin dall’origine della filosofia, è proprio di conoscere la realtà nella sua autenticità.

Evidentemente nel tempo, lo sviluppo delle scienze ha dato maggiore specificità ai diversi ambiti del sapere e così le scienze empiriche,rispondendo in modo accurato a diverse domande che prima erano esclusive della filosofia, ne sono divenute referenti titolari. Ad esempio, se prima la filosofia si occupava del cosmo, ora è l’astronomia a farlo. Ed è un bene. Questo non impedisce la legittimità dell’allora filosofia ma evidenzia che la filosofia oggi deve essere altro. Essa infatti ha fallito quando, per un certo tempo, contagiata dai successi delle scoperte scientifiche e forse invidiosa per l’entusiasmo riservato ad esse, ha voluto assumere lo stesso modello di sapere e procedere con l’esattezza di quelle e adottare come oggetto di indagine la totalità empirica. Ecco il suo errore! Voler essere da un lato pensiero scientifico-obiettivo, dall’altro etico. La filosofia ha più volte provato questa unione divenendo ambigua: dire del senso con il rigore scientifico. Questo anche ai profani risulta assurdo. Ciò che si ottiene per questa via sono niente più che giochi concettuali. Questa filosofia genera insoddisfazione, per avere una conoscenza oggettiva della realtà meglio rivolgersi direttamente alla scienza.

Questa scienza Signora però non è la soluzione a tutti i nostri quesiti. Essa non può darci i criteri dell’agire,  non può fornirci le norme per come vivere una buona vita, a motivo dei suoi limiti, che è bene individuare:
La conoscenza scientifica delle cose non è, e non può essere, conoscenza dell’essere. La scienza si rivolge infatti sempre ad un oggetto particolare, è conoscenza determinata e in quanto tale non è rivolta all’essere stesso. Si tengano quindi validi di ogni ricerca i risultati, ma essi soltanto. Ogni concezione dell’uomo e dell’etica non è affar dello scienziato. Egli avrà certamente un orizzonte di valori e di criteri ma in quanto uomo, mai come scienziato; perché egli faccia ricerca rigorosa deve sospendere ogni giudizio. Da qui viene in seguito che la conoscenza scientifica non è in grado di dare alcuno scopo per la vita, non può guidare la vita. La scienza non può dare nemmeno alcuna risposta riguardante il suo proprio senso: il fatto che esista è basato su impulsi che non possono essere dimostrati scientificamente. Possiamo semplificare dicendo che la conoscenza scientifica impedisce che nella filosofia sia possibile la conoscenza obiettiva delle cose, che è invece propria della conoscenza metodicamente esatta; allo stesso tempo la chiarezza  filosofica è necessaria alla scienza per comprendere se stessa.

Chiariti i limiti della scienza e chiarito cosa non è la filosofia, cosa resta da indagare ad essa? Di cosa si occupa infine questo pensiero filosofico che non deve dire dell’essere in forma di unità oggettiva eppure dice dell’autenticità del reale? Fortunatamente la filosofia offre più spunti di riflessione e, sebbene più pensieri cadano sotto il nome comune di filosofia, non esiste un’unica risposta alla domanda “che cosa dice la filosofia?”. Semplicemente non esiste una filosofia..e quante teste pensano, tante sono le filosofie, anche se pochi poi esplicitano le loro riflessioni. Dunque per rispondere ci affidiamo ancora a Karl.

Jaspers ci propone due modi di porsi di fronte alla realtà. Il primo è quello tradizionale, della conoscenza che si basa sul rapporto tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto. Rapporto in cui il soggetto cerca di fissare e assolutizzare il dato conosciuto tramite le categorie dell’intelletto: far rientrare tutto in uno schema, dare un ordine. L’altro è quello della ragione: l’uomo è portato al superamento dell’oggetto, ad andare oltre la conoscenza oggettiva del reale. La ragione rivela che, nonostante il conoscere secondo intelletto non è da negare o disprezzare,  esso è da superare, oltrepassare. L’uomo è portato ad una “trasformazione”: nell’atto del conoscere scopre i limiti di tale conoscenza oggettiva e la problematizza, la pone in questione in quanto non capace di dare ragione del fondamento dell’uomo. “Rendere problematica questa assolutezza del conoscere vuol dire aprirsi alla trascendenza”. Vi è uno spazio della realtà che sfugge all’intelletto, che non si può conoscere. Questo spazio,  messo in luce dalla ragione, apre alla trascendenza. Questa trascendenza è a sua volta non definibile. Non è inscrivibile ad alcuna categoria. Segna il limite invalicabile della finitezza dell’uomo. E’ quell’essere che ci si fa incontro e che di volta in volta si fa espressione in un oggetto, ma il cui orizzonte resta sempre inarrivabile al nostro sguardo. Il mettere in luce questo limite è il comprendere. Se dell’intelletto è proprio il conoscere, della ragione lo è il comprendere. E per comprendere è necessario unire teoria e prassi, pensiero e azione trasformatrice, conoscenza e superamento, esperienza del limite.

Questo è l’altro pensiero di cui ha bisogno la filosofia, tutt’altro che un sistema della totalità. Se dunque restano aperte delle domande, se non si vede chiaramente il legame e la coerenza di più aspetti della realtà, è perché stiamo interrogando la realtà ad un livello superiore; significa che ci stiamo avvicinando al fondamento, a quella realtà autentica che resta sempre aldilà delle nostre possibilità di conoscenza ma di cui passo passo possiamo fare esperienza.  Con le parole dell’autore:

Il filosofare sospinge il pensiero fino a quel punto in cui il pensiero ha la possibilità di trasformarsi in esperienza della realtà stessa. Nel processo di tale pensiero provvisorio e preparatorio sperimento un qualche cosa che è più del pensiero. La metodica obiettivazione di tale pensare è la filosofia.”

Scienza e filosofia devono dunque separarsi nella consapevolezza del sostegno irrinunciabile che ognuna è per l’altra. Quale scienza potrebbe mai esserci senza un orizzonte di senso verso cui indagare? E quale rilevanza e inerenza storica potrebbe avere un pensiero filosofico privo della conoscenza del reale? Non c’è superamento se non c’è realtà da oltrepassare. Consapevoli che, nel far filosofia oggi, non si pretende di dimostrare: si può solo offrire uno spazio di riflessione ad alcuni pensieri fondamentali.



[1] Cito liberamente e implicitamente l’introduzione di Karl Jaspers in La filosofia dell’esistenza(1974). 

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