venerdì 17 gennaio 2014

CONDANNATI A GODERE

Ho una domanda. Questa domanda non so se sia la domanda più in voga al giorno d’oggi, quella che riempie tolk-show e richiede interventi di sociologi e psicologi, oppure sia una domanda inusuale, soffocata dalle mode, le pubblicità, l’urgenza di problemi sociali come il lavoro, la casa e altro. Indipendentemente dal fatto che ci si sia già posti questa domanda o meno, eccola: l’uomo contemporaneo sa godere? L’uomo contemporaneo come lo descriviamo noi nei nostri discorsi, nei nostri desideri, nelle nostre rappresentazioni (cinematografiche-  culturali) sa godere? Se mettiamo a modello di riferimento il don Giovanni, capace di concedersi ogni piacere, senza remore morali, senza rinunce o divieti, è questo modello rappresentativo dell’ uomo di oggi? Detto altrimenti: l’uomo di oggi è un don Giovanni?


Se fosse invece vero che l’uomo della nostra epoca non sa più godere?

Questa prospettiva non sembra particolarmente azzeccata, di primo acchito. L’epoca del proibizionismo, del potere del pater familias, della dipendenza femminile, del costume sociale, l’abbiamo lasciata alle spalle da molto tempo, tanto che le ultime generazioni non l’hanno mai vissuta e quell’epoca “così bigotta” la conoscono per sentito dire. Oggi nessuno, o sempre meno persone, fanno “i moralisti”. Non a caso chi sostiene una visione rigorosa e regolamentata di vita è chiamato “moralista” e canta fuori dal coro, quando un tempo il coro cantava con lui.

Cosa è cambiato? Interrogando da profani la psicanalisi si potrebbe dire che Super io e Inconscio, fino a qualche tempo fa, rappresentavano chiaramente due voci: Il Super io indicava l’agire etico della società, le regole e la morale depositarie del divieto di godere. Il Super io come un grande occhio esterno che ti guarda e dice “no!” “non devi!”, “non si fa!”, giudicandoti ad ogni sgarro; l’Inconscio di contrasto era il luogo nascosto, taciuto e inconfessabile in cui si insinuavano i pensieri di piacerei illeciti e i desideri proibiti, condannati a venir ricacciati giù ad ogni loro tentativo di fare capolino. Violare un divieto morale richiedeva un atto di trasgressione e aveva come contropartita il senso di colpa.

Una lettura diversa di Super-Io e Inconscio è invece quella di Lacan, come suggerisce Žižek. Lacan sostiene che i ruoli siano esattamente invertiti. Dal momento in cui Dio è morto, ovvero è caduta la legge e con essa il divieto e il castigo, si inaugura l’epoca dell’ateismo e del nichilismo. Ora il Super Io impone il divieto di non godere. Il senso di colpa arriva non quando ci si abbandona al piacere, ma quando non si arriva a goderne, quando si perde un' occasione. Di conseguenza, quel Dio che si voleva morto è diventato il Dio Inconscio, un impulso sotterraneo che muove al pudore. Un freno, una remora che ci sussurra piano-troppo piano, e ci lascia- di tanto in tanto, incerti sul da farsi.
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Ecco che emerge il motivo della domanda se l’uomo di oggi sa ancora godere. Diventando un imperativo: Godi!, il godimento perde la sua libertà. La costrizione al godimento non ha nulla di diverso dalle precedenti norme “moraliste”. Crediamo di vivere in un’epoca dove tutto è lecito ma siamo invece immersi in una libertà fittizia. La società si aspetta da noi ciò il cui sottrarci suscita senso di colpa, frustrazione: “Non sono capace di divertirmi”. Non siamo liberi ma costretti al godimento e questo godimento, anche quando raggiunto, è sempre insoddisfacente perché il Super io ci spinge sempre ad un oltre. Da qui sono immaginabili le possibili derive sociali.

Che fine ha fatto allora il don Giovanni? Questo personaggio è capace di godimento perché ottiene soddisfazione ingegnandosi e rischiando. Il don Giovanni conquista. L’uomo contemporaneo colleziona. Inserisce in fila piaceri seriali, automatici.

“ma scusatemi, come volete essere un conquistatore in un territorio dove nessuno vi impedisce alcunché, dove ogni cosa è possibile e tutto è permesso?”

Questo è il nostro territorio. La domanda allora è: colleziono o conquisto?



4 commenti:

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  2. Cara Elena,
    una settimana fa una ragazza che mi sta un po' addosso mi ha chiesto di uscire. Sinceramente non ne avevo voglia e preferivo stare a casa con Tommaso. Alla mia risposta che avremmo fatto magari (per me era sottointeso MAI) un'altra volta lei mi scrive... "caro Alberto sei una persona interessante ma devi imparare a divertirti".

    Non ci ho più visto. Il mio primo pensiero è stato... ma vaffan... Il secondo pensiero è stato ancora... ma vaffan... La terza cosa che ho fatto... l'ho chiamata e l'ho insultata.
    Si. Perché alla fine si deve comprendere che la volontà fa sempre ciò che vuole. Se non ho voglia di uscire non è che non so divertirmi ma forse perchè ho qualcosa che m'interessa di più. Qualcosa che mi fa stare meglio. Ho fatto semplicemente una scelta.

    L'idea di doversi divertire segrega l'individuo in uno spazio molto stretto. Se divertirsi è un must non è più divertimento. Ognuno ha un'idea propria del divertimento ma l'idea più comune è che se non fai qualcosa non ti diverti. È una collezione di serate, di cene, di aperitivi finalizzati al dover fare. Ad essere sempre in pista e presenti.

    La vita estetica, la ricerca del piacere è vero che è un tema eterno della nostra vita ma è anche vero che porta con se un senso di vuoto ed inutilità che solo pochi possono comprendere.
    Pochi possono comprendere che il piacere brucia ma non sazia. I pochi che comprendono questa idea sono quelli che hanno ben chiaro un progetto esistenziale. Sono quelli che la vedono lunga, in prospettiva. Sono coloro che sono presenti allo scorrere della loro vita. Essere presenti davvero non in superficialità.
    Essere presenti significa, dal mio punto di vista, avere uno stretto rapporto con se stessi che ti permette di vivere bene anche da solo. Significa che quando mi siedo a tavola non è per mangiare ma per condividere un momento. Significa apparecchiare uno spazio sociologico fondamentale per la crescita individuale e collettiva. Nei piu piccoli gesti è sempre racchiuso un infinito che si deve riscoprire.

    Gli altri invece, sempre dal mio punto di vista (non vorrei peccare di presunzione... anche se ritengo di non essere molto lontano dalla ragione), capiranno questo alla fine dei loro giorni quando guardandosi indietro vedranno una vita molto piena, molto attiva ma senza sostanza. Una collezione di avvenimenti sterili.
    Lo stesso don Giovanni nella sua piena maturità comprende che forse alla vita si deve dare di più. Subentra infatti la fase matura, quella del vero seduttore, che lo proietta in una dimensione intellettuale ed ultraterrena che gli fa scoprire che la vita è qualcosa di diverso.

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  3. Caro AR,
    dici bene nel secondo paragrafo: "ho fatto semplicemente una scelta". Interessante che tu dica "semplicemente". Credo che ciò che richiede lo sforzo e il rischio più grandi per ciascuno sia fare una scelta. Ciò che tu trovi facile è ciò che spaventa molti, perchè fare una scelta è dire un sì, ma per ogni sì ci sono infiniti no che chiudono le altre strade. Divertirsi diventa allora necessario, è quel distrarsi che non ci mette nella posizione di dover decidere, prima di tutto di quale orizzonte dare alla nostra vita.

    Ti consiglio il film appena uscito "the wolf of wall street", rappresenta in modo efficace quel che tu scrivi!

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