«Il
desiderare indica qualcosa, rinvia a qualcosa che sta davanti a noi e che non
percepiamo ancora chiaramente. Contiene un presentimento e una anticipazione
delle nostre aleatorie opportunità di vita migliore. I suoi paesaggi custodiscono
il bisogno del dover-essere proprio nel cuore dell'essere, di cui anzi
garantiscono paradossalmente la consistenza: "I desideri non fanno nulla,
ma dipingono e conservano con particolare fedeltà ciò che dovrebbe essere
fatto. La ragazza che vorrebbe sentirsi brillante e corteggiata, l'uomo che
sogna di imprese future, sopportano la povertà o la quotidianità come una corteccia
provvisoria"» (R. Bodei, Introduzione a Principio speranza di Bloch)
Io voglio, io vorrei….quante volte abbiamo iniziato una
frase con il verbo volere? Quante volte abbiamo fatto l’elenco delle cose che
ci mancano e che preferiremmo possedere per rendere la nostra vita un po’ più
piena, facile, felice?
Ma poi questo volere è davvero un desiderare? Non si rischia
di volere sempre di più e di desiderare sempre di meno?
Il desiderio è, sì, legato, come il volere, ad una mancanza,
ma tale mancanza non ha contorni netti, non rimanda a qualcosa di materiale, il
cui acquisto, il cui raggiungimento soddisfa e appaga, il desiderio è sempre
proiettato verso un oltre, una trascendenza,
di cui non si riescono a cogliere con precisione i confini, i tempi, i modi
della sua realizzazione. È un anelito, un tendere verso, un aspirare. Un
sognare.
È un presentimento, un’anticipazione, appunto. Un mancare
che però non si sa bene in cosa consista. Ha qualcosa di aleatorio, di
struggente, quasi – paradossalmente – di nostalgico.
Il desiderio è anche ciò che permette, come dice Bloch, di
rendere la nostra quotidianità, fatta di fatiche, di sofferenza e di provvisorietà,
un po’ più sopportabile, perché permette di conservare la speranza che un
futuro migliore è possibile, che ciò che si sta vivendo non è assoluto, né
tanto meno definitivo. Che le cose possono ancora cambiare, e in meglio. Che la
vita può riservare ancora tante sorprese, che non è ancora il tempo di dire
“basta”, perché ciò che basta alla fine non basta mai.
Il desiderio contiene in sé una promessa, una speranza,
magari anche un’illusione, un disincanto. Non tutto ciò che si desidera risulta
essere possibile, ma proprio qui sta il bello! Il desiderare, infatti, porta a
scavalcare la realtà, porta a sognare ad occhi aperti. A non smetter di far
progetti, di accumulare aspettative, di allungare la lista delle cose da fare,
di riempire il cassetto dove teniamo chiusi i sogni.
I desideri alimentano allora la nostra quotidianità, ci
spingono ad andare avanti, a non fermarci di fronte ad una giornata buia e
grigia perché in fondo si spera che domani ci sia il sole!
Ecco perché trovo che sia spaventoso quanto noto una quasi
totale mancanza di aspirazioni e di sogni negli adolescenti che mi circondano.
Ma come è possibile, mi chiedo! Come si può vivere gli anni più proficui della
propria vita, gli anni in cui si è pieni di energia e di forza, senza desideri,
senza sogni, schiacciati solo sul presente, sull’immediatezza? Da dove nasce
questa assenza di sogni, di aspirazioni?
C’è chi parla della nostra come l’epoca delle passioni tristi[1], mutuando questa espressione da Spinoza
e attribuendola al nostro secolo, in cui sembrano dominare come sentimenti
prevaricanti l’impotenza e la disgregazione di fronte ad un futuro che non
viene percepito come un’occasione, ma come una minaccia. In cui la fan da
padroni l’individualismo e l’economicismo, in cui tutto è merce e l’obiettivo
principe di ogni tipo di attività è quello di vendere e quindi, al fine,
guadagnare. In cui i legami familiari, sociali si sbriciolano, vanno a pezzi,
perché ognuno è spinto da questa logica commerciale a pensare a sé. In cui ciò
che veramente conta non è desiderare ma sopravvivere.
Come uscire da questa logica disgregante e controproducente?
Secondo gli autori occorre fare resistenza, scontrarsi e opporsi a questa logica recuperando la
dimensione dei legami e della creatività, ricominciando a tessere relazioni,
reti che permettano all’uomo di uscire dall’isolamento in cui lo costringe la
società utilitaristica per riscoprirsi persona,
fatta di molteplicità e di complessità, di fragilità, di limiti, di
non-sapere…di desideri.
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