domenica 23 marzo 2014

C'E' POSTO PER L'AMORE IN UNA SOCIETÀ GIUSTA?

Da cittadini democratici, non toccateci la giustizia!  Che essa sia il fondamento delle nostre società non lo mettiamo in discussione, tanto che, peggio vanno le cose e minore equità percepiamo, tanto più rispolveriamo la nostra radicata (anche se talvolta dimenticata) credenza nell’ideale di giustizia che percepiamo violato. Mi sono però imbattuta in una riflessione di Paul Ricoeur che ha suscitato in me un dubbio: è desiderabile una società giusta? Voglio subito chiarire che non sto fomentando l’egoismo, né auspicando una società della legge del più forte, mi chiedo però se la giustizia non saturi il comportamento umano, che invece è ricco di sfumature, e di slanci. Ma partiamo con ordine.

Il concetto di giustizia può essere espresso dalla Regola d’Oro: fa agli altri quello che vorresti fosse fatto a te. Comunemente accettato da pensatori politici, la Regola ha origine nel comandamento di Gesù: ama il prossimo tuo come te stesso. Di fronte a questo comandamento sorgono due perplessità, la prima è immediata: come posso amare a comando? Se l’amore è un sentimento e non una scelta della ragione, come posso, anche volendo, suscitarlo in me? E come può Dio comandarlo come fosse un dovere e non un sentimento spontaneo e originario? Sorge allora il nodo della questione, amore e giustizia, come possono stare insieme?

La seconda perplessità segue a ruota la prima: se l’amore è nel segno della gratuità, del “ama chi ama per primo, senza attendersi nulla in cambio”, cosa sta a significare il che vorresti fosse fatto a te? Non è la logica del do ut des? Non si perde così del tutto l’amore a favore di una logica di giustizia distributiva (a ciascuno il suo) che rende interessato ogni atto dovuto all’altro, affinché anche a me torni la mia parte? Non si cade in un individualismo sfrenato e subdolo, in quanto coronato da un falso alone di giustizia? Ebbene sì, se non necessariamente, siamo ad alto rischio di caduta.


 Eppure..cominciamo a rispondere al primo punto: il comando di amare non va letto nell’ottica di un imperativo della legge “Ama!” come fosse il linguaggio del giudice. Amore  e giustizia infatti hanno linguaggi differenti. Se la giustizia è prosa, e il suo imperativo è legge, l’amore è poetico, e il suo imperativo è supplica, appello, invito amoroso. L’amore non argomenta, chiama. La giustizia argomenta, e distribuisce. Non c’è dunque un dovere di amare ma una libera risposta ad un appello pressante, patetico, appassionato.

Per rispondere al secondo punto dobbiamo fare un passo in più. È un’aggiunta che sembra confondere ancora di più le acque. Come il Vangelo ci consegna la Regola d’Oro, così ci consegna il Comandamento Nuovo. In esso ci viene svelata un’altra faccia dell’amore: amate i vostri nemici. I nostri nemici! E’ questa la giustizia a cui dobbiamo aspirare? Dobbiamo mirare ad una società che tollera, ama, i nemici? Dobbiamo trattare da pari chi ci fa un torto? Qui il legame amore-giustizia si perde immediatamente. Siamo confusi. Forse non siamo pronti per questo tipo di società, forse non la vogliamo proprio.

Ma ora ci è richiesto uno sforzo in più: indaghiamo il significato di questo comando. Abbiamo visto che il rischio della regola d’oro è di appiattire l’amore ad un giusto equilibrio di doni e ricompense. Accettando come punto di arrivo il criterio della distribuzione proporzionale perdiamo il pathos di chi dà perché ama per primo; perdiamo la gratuità dell’amore; perdiamo la bellezza di ricevere un dono inatteso; perdiamo il piacere di fare un gesto non dovuto. Perdiamo insomma l’amore nelle sue sfumature, nelle sue sorprese, nella sua spontaneità.

Non siamo però ancora convinti che il nuovo metro di misura sia il comandamento Nuovo. Un conto è amare con intensità e generosità, un conto è scavalcare a piè pari ogni logica di equità. Giustizia e amore sembrano davvero  non poter stare insieme. Sorprendentemente è a questo punto che troviamo la soluzione. Il loro legame è proprio stare in questa dialettica mai conciliabile. Il comandamento Nuovo è il segno della sovrabbondanza dell’amore, della grandezza dell’amore, che supera ogni criterio di regolamentazione umana. È la sproporzione della capacità di amare sulla capacità di governare una società giusta. Senza questa sovrabbondanza il criterio della giustizia si appiattirebbe alla logica della distribuzione proporzionale: tanto dai tanto ricevi. C’è ancora posto per l’amore in una società giusta? No, l’amore è estromesso e sostituito dai calcoli distributivi. Contro questo appiattimento si rivolge allora la nuova faccia dell’amore, che chiama ad amare i nemici. Ma il comando ad amare il prossimo come se stessi non deve essere scavalcato, quanto superato.

Non si costituisce una società giusta senza un amore autentico per il prossimo, senza un debito nei confronti dell’altro ma questo amore non è possibile senza passare attraverso la condivisa giustizia. La sovrabbondanza non è amorale né immorale, ma sovra morale. Assume, fa propria, ascolta il richiamo della giustizia per generare un di più e con questo di più è di monito alla stessa giustizia perché non si riduca  a mero calcolo interessato. Ecco che una società giusta sarà desiderabile solo se sarà allo stesso tempo più che giusta, se persisterà in essa la dialettica delle inconciliabili.

Grazie Paul, noi ci proviamo.


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